sabato 21 maggio 2011

Stress da lavoro correlato: dossier dell'Associazione Ambiente e Lavoro

A completare il quadro di analisi sul tema dello stress da lavoro correlato, dopo il post di ieri sul nuovo portale INAIL-ISPEL, la redazione di "i-Lib" riceve e volentieri pubblica una recensione del bloggers Renato Cecchi sul dossier dell'Associazione Ambiente e Lavoro dedicato al tema, con alcune riflessioni di più ampio respiro a partire da una specifica ricerca realizzata sullo stress da lavoro e non lavoro (disoccupazione) in Toscana.

Segnalo una interessante pubblicazione della periodico trimestrale Dossier Ambiente (anno XXIV, I° Trimestre 2011, n° 93), dell’Associazione Ambiente e Lavoro, interamente dedicato al tema dello stress lavorativo. Il titolo del numero dedicato alla Salute e Sicurezza lavoro è “Rischi stress lavoro-correlati, Costruire la cultura della sicurezza”. Il testo è molto completo e dettagliato e, per fare solo un esempio, contiene anche un capitolo dedicato a “La raccolta dei dati attraverso metodi soggettivi: questionari e focus group” (Pagg. 109-120).

Si tratta di un lavoro sistematico e ben organizzato, completo anche di aspetti giuridici oltreché di definizione, che su tale argomento non è facile trovare in circolazione. Se ne raccomanda perciò una attenta lettura.
A breve premessa a questa lettura-documentazione ricordo che nel 2005 la stessa Associazione Ambiente e Lavoro condusse uno studio-indagine sullo stress da lavoro e da non lavoro (disoccupazione) nel distretto tessile di Prato sottoposto già da qualche anno a tensioni economiche, produttive e sociali di crisi e trasformazione.
Quello studio fu condotto in collaborazione tra l’Associazione e l’allora Agenzia Regionale di Sanità nella persona della Dottoressa Eva Buiatti (purtroppo non più tra noi) epidemiologa di chiara fama, la Regione Toscana, il SSR e l’Azienda USL 4 di Prato.
A puro titolo di introduzione alla lettura del Dossier dedicato allo stress, mi pare di qualche interesse citare alcuni brevi passaggi contenuti nelle premesse e nelle conclusioni di quello studio-indagine condotta su un numero limitato ma significativo per collocazione di operai, artigiani e disoccupati, con il metodo delle interviste.

Come è noto i disturbi provocati dall’essere sottoposti a lunghi e ripetuti stress non hanno le caratteristiche di una malattia specifica, ma possono manifestarsi in forma di indecisione, diminuzione di peso, perdita di appetito, cattiva digestione, mal di testa, mal di schiena, eruzioni della pelle, insonnia, nervosismo, tremori, perdita di memoria e irritabilità, ecc.. Ma tali disturbi possono non comparire e lo stress può manifestarsi con una malattia specifica da esso originata o aggravata: ulcera, emicrania, asma, colite ulcerosa e disturbi coronarici. (Stellman, 1979). Le cause dello stress da lavoro sono molte: rumore, ritmi di lavoro, la ripetitività delle mansioni, fatica, umidità, calore, ecc. Del resto è pure acclarato il rapporto tra stress sul lavoro con le preoccupazioni e le responsabilità derivanti dalla vita sociale e familiare; in questo senso l’orario di lavoro (modalità come il lavoro a turni e prolungamento come il lavoro straordinario) è un altro aspetto da prendere in considerazione quando si vogliano individuare ragioni di stress. Infatti nei focus dei lavoratori e degli artigiani emerge con sufficiente chiarezza come le diversità di orario di lavoro, in famiglia siano causa di difficoltà e talvolta di veri e propri conflitti (questo dato legato ai turni e agli straordinari è una condizione ormai di carattere endemico nel distretto pratese, alla quale sono stati sottoposti intere generazioni di lavoratori e lavoratrici).Come emerge dal gruppo delle interviste la difficoltà a trattare le problematiche dello stress da lavoro riflette evidentemente una scarsa attitudine dei datori di lavoro, ma non solo di essi, come vedremo, ad approcciare le problematiche derivanti da fattori di rischio non chiaramente conclamati, come gli infortuni o le esposizioni massicce a rumore, sostanze tossiche o agenti fisici, ecc. che causano danni o malattie acute “facilmente” identificabili”.

Relativamente allo stress legato alla disoccupazione, forse si potrebbe addirittura parlare di una “epidemiologia” del non lavoro. Nella ricerca si riprendeva il tema, nelle conclusioni, in tal modo.

Senza avere la pretesa di assegnare alle interviste e ai focus un valore probatorio che non hanno perché toccano un numero limitato di persone e possono seguire una metodologia standardizzata (elaborazione delle interviste per items di valutazione ) è di un certo rilievo il fatto che i risultati delle ricerche epidemiologiche in materia di stress da non lavoro sono abbastanza in linea con le risposte di focus e interviste, in particolare dei primi. Ciò avviene quando segnalano, soprattutto in modo indiretto attraverso i dialoghi, che l’incertezza lavorativa o la disoccupazione possono avere degli effetti psicosociali sull’individuo e sul gruppo familiare. Con maggiore frequenza vengono indicazioni di ansia, irritabilità, indifferenza, difficoltà di concentrazione. Se quindi è possibile rilevare nella consapevolezza di alcuni dei soggetti un certo legame tra disoccupazione e pericolo della stessa e alcuni disturbi “minori” (stato di tensione emotiva, ansia, sentimenti negativi) niente si può dire invece dal contesto dei focus a proposito di rapporti con patologie più gravi.
Risulta invece che a creare tensioni emotive stressanti è anche il cambiamento nel lavoro e del lavoro e talvolta anche prima che il cambiamento avvenga. Questo riguarda anche lo stato di disoccupazione, prima che questo sia poi realmente avvenuto.
Dal focus dei lavoratori dipendenti è interessante notare come in alcuni casi si può rilevare uno stato di maggiore tensione emotiva, seguito da periodici atteggiamenti negativi, da parte di chi ha dovuto sperimentare più cambiamenti di occupazione (alternati con periodi di perdita del lavoro). Ciò, più che dalla durata del periodo di disoccupazione (dai di focus non è apprezzabile) potrebbe dipendere proprio dalla sensazione o dalla certezza di perdere proprio i benefici che si identificano col lavoro (rapporti sociali, identità, status economico). Emerge dai focus dei lavoratori dipendenti e da quelli degli artigiani che le percezioni degli individui sono abbastanza comuni tra loro riguardo alla perdita del lavoro (ma per gli artigiani ciò è dato dalla sensazione –più o meno reale, ammesso che sia vero, cioè, un effettivo anche se parziale controllo del proprio lavoro; mentre per i lavoratori del focus il problema della perdita del controllo neanche si pone più, come del resto non è emersa la consapevolezza del rapporto tra controllo del lavoro e conoscenza): la percezione del peggioramento delle condizioni economiche, il restringersi delle relazioni non solo di quelle legate al lavoro, la diminuzione della capacità-possibilità di prendere decisioni (ma nessuno lega questa percezione alla perdita di conoscenza), la riduzione dei motivi di soddisfazione personale, la possibilità della crescita di esperienze negative (paure e umiliazioni) che possono inibire alla lunga la volontà di ricerca di nuove occupazioni. Tutto ciò come ovvio, determina l’ansia per il futuro, il declino del proprio ruolo sociale e delle relazioni.
E paradossalmente, rispetto a ciò che effettivamente i partecipanti ai focus hanno detto, emerge dal complesso delle discussioni che l’occupazione in realtà rappresenta molto di più della fonte economica e che il lavoro ha importanza anche da punti di vista non economici. In una realtà come quella pratese dove storicamente il valore dello status economico (fondamentale nel comportamento sociale, culturale e dei consumi) si intreccia con una grande considerazione per la parte non economica del lavoro (conoscenza data dall’esperienza e dalle molteplici relazioni, professionalità di cui andare orgogliosi, capacità di sacrificio esaltata al massimo, controllo dei fattori del proprio lavoro), quindi dove è forte il radicamento e l’attaccamento (non solo per gli artigiani ma anche per i lavoratori, lo testimonia la mobilità tra le due figure) alla componente non monetaria del lavoro, ossia dove è maggiore il riconoscimento del valore individuale e collettivo del lavoro anche come cultura della persona e del gruppo sociale, maggiori sono i rischi rappresentati dalla disoccupazione. Infatti essa non rappresenta un rischio solo economico, a cui si può cercare di sopperire cercando un altro lavoro in altro settore o territorio, ma anche psicologico e sociale a cui difficilmente si vuol rinunciare. Non a caso la maggior parte dei partecipanti ai focus da la netta sensazione di essere profondamente legata al settore tessile, nonostante al sua crisi strutturale evidente, mentre chi ha avuto condizioni per cambiare settore o meglio di lavorare prima come indotto tessile o della scelta diversa all’inizio rispetto al tessile di serie b l’edilizia, per esempio passando all’edilizia, testimonia con un certo atteggiamento di rivalsa di essere stati considerati inadeguati dagli altri rimasti legati al settore tessile al momento del difficile passo (evidentemente anche in questo caso vissuto con sofferenza), e oggi che le cose nel settore tessile vanno male, mentre nell’edilizia no, almeno per il momento, quasi sono loro a considerare gli altri come dei perdenti.
La questione dell’incertezza del futuro pesa come un macigno nel focus degli operai e in parte anche in quello degli artigiani. Di che cosa sia fatta questa incertezza le valutazioni sono abbastanza chiare (lavoro precario, perdita di Stato sociale, flessibilità del lavoro intesa anche come più facile licenziabilità, che di fronte ai cambiamenti del lavoro nessuno è in gradi di dire che cosa devono imparare i lavoratori per restare sul mercato del lavoro, ecc.), mentre sono molto confuse o non esistono valutazioni sulle ragioni di tutto ciò (nuove ragioni della divisione internazionale del lavoro, scaricamento dei rischi dallo Stato e dall’economia sugli individui, le casse vuote degli enti locali non sono più in grado di finanziare la domanda crescente di pubblica assistenza o di servizi qualificati)”.

Il gruppo di lavoro dell’Associazione era composto da Renato Cecchi, Giorgia Massai, Cristina Pinazzi, Andrea Valzania


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